“Un campione di tolleranza e martire del libero pensiero e dei sacri diritti della coscienza” è stato definito dallo storico lametino Vincenzo Villella il teologo Valentino Gentile, originario di Scigliano, alto Savuto, e decapitato a Berna (Svizzera) nel 1566 per le sue idee eretiche. Quella del calabrese Valentino Gentile è stata una delle voci più coraggiose che nel periodo della Riforma protestante e della Controriforma cattolica si levarono contro l’intolleranza. Il suo nome ha avuto un ruolo nell’Europa tra quei ribelli ad ogni forma di comunione ecclesiastica che lo studioso Delio Cantimori ha chiamato “eretici italiani del Cinquecento”.
Lo storico lametino Vincenzo Villella nel corposo saggio “Le vittime di Giovanni Calvino” pubblicato dalla casa editrice Città del Sole ha ricostruito la storia drammatica di Valentino Gentile (Scigliano 1520-Berna 1566) eretico antitrinitario, il quale osò contestare a Calvino il diritto di essere l’unico infallibile interprete della Sacra Scrittura. Egli sosteneva, come il suo “maestro” Erasmo da Rotterdam, che nella traduzione della Bibbia da parte di San Girolamo (la cosiddetta “Vulgata”) c’erano gravi errori, forzature e manipolazioni; ed anche che il dogma della Trinità non ha nessun fondamento nella Scrittura, ma è una invenzione dei teologi; ed infine accusava Calvino di adorare una “Quaternità” e non la Trinità.
Per tutto questo fu accusato di eresia perniciosa dal Concistoro di Ginevra guidato dal teocrate Calvino. Carcerato e torturato per mesi, minacciato di morte sul rogo, coma già era successo a Michele Serveto, si piegò inizialmente all’abiura (finta) per continuare da vivo a difendere le proprie idee e a poterle diffondere nelle chiese d’Europa. Poi, nuovamente arrestato non esitò ad affrontare con coraggio la morte che avvenne a Berna il 10 settembre 1566 per decapitazione.
Sulla base della documentazione archivistica coeva poco esplorata, all’interno del movimento di dissenso religioso italiano ed europeo del XVI secolo, e partendo dal moto riformatore del primo Cinquecento in Italia, Villella segue le tappe della formazione dottrinaria di Gentile nell’Accademia Cosentina, nel Circolo degli Illuminati di Jauan de Valdés a Napoli, nelle riunioni degli antitrinitari e anabattisti dei Collegia Vicentina (in Veneto), fino allo scontro con Calvino a Ginevra nel 1558. I viaggi in Polonia, Moravia e Transilvania, i legami con gli eretici del radicalismo europeo, la finta abiura dopo un primo processo, il rientro in Svizzera, l’arresto e la condanna a morte per decapitazione dopo un lungo secondo processo.
«La sua vicenda avventurosa e tragica, fatta di viaggi, di fughe, di dispute e di lotte dottrinarie, per secoli è stata relegata nell’oblio come se non fosse stato il martire di nessuno e come se si fosse trattato di una vittima secondaria e isolata, un eretico esaltato e folle, il silenzio per secoli ha avvolto il suo nome – osserva Villella – perché le autorità ecclesiastiche hanno fatto di tutto per cancellarne la memoria e disperderne le opere. La sua storia, al pari di quella di altri martiri a lui contemporanei, è stata trascurata in Italia, mentre in Europa e in America figura nella maggior parte degli studi storici dedicati alle lotte religiose del Cinquecento. Vittime dell’intolleranza religiosa (sia cattolica che protestante), gli “eretici” italiani come Gentile, che andarono vagabondando attraverso l’Europa con le loro inquietudini, si fecero portatori di quella tolleranza religiosa che nel secolo successivo avrebbe portato all’acquisizione del principio della libertà di coscienza».
Il lavoro di Villella si fa apprezzare soprattutto per l’esposizione degli argomenti con cui il calabrese confutava la dottrina di Calvino. Non c’era posto a Ginevra per quelli che Calvino bollava come “settari” e “discepoli di Satana”. La condanna a morte dell’eresiarca calabrese era la conferma della rigidità dell’inquisizione calvinista che appariva così non dissimile da quella romana che avrebbe bruciato Giordano Bruno.
«Ricordare la malinconica storia di Valentino Gentile e degli altri gloriosi sostenitori del libero pensiero – conclude Villella – significa rendere onore anche alle centinaia di vittime meno illustri o del tutto dimenticate che nell’epoca dell’intolleranza furono decapitate, squartate, impiccate, bruciate, chiuse vive nei sacchi e gettate nei fiumi dopo accuse equivoche avallate con atroci torture prese come prove di colpevolezza».
Raffaele Spada
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